L’italia è stato il primo dei Paesi Membri della UE a recepire ed implementare la direttiva sul Green Public Procurement, con la pubblicazione della Legge 221/2015. Eppure oggi ci fermiamo ad una quota di riciclo e reimpiego pari al 10% di tutti i rifiuti inerti prodotti da attività di costruzione e demolizione (Germania e Paesi Bassi superano il 90%).
I nuovi progetti di infrastrutturazione di una rete in grado di sostenere la mobilità elettrica o le grandi opere potrebbero rappresentare una grande opportunità per realizzare le famose strade verdi che ANPAR ha promosso attraverso l’applicazione dei CAM (Criteri Ambientali Minimi) presso le stazioni appaltanti.
Le prestazioni dei nostri materiali inerti riciclati, o di quelli realizzati usando inerti riciclati, sono paragonabili se non superiori a quelle degli inerti naturali. Eppure registriamo ancora una quasi istintiva diffidenza, a nostro giudizio ingiustificata, o giustificata solamente da una filiera mal funzionante che complessivamente si muove in base a dinamiche di prezzo e finisce con l’introdurre materiali dalle prestazioni scadenti e/o senza marcatura CE.
Nel frattempo i rifiuti inerti provenienti dalla attività di C&D (C&DW – Construction & Demolition Wastes), stanno diventando una spina nel fianco di Paesi membri dell’UE come l’Italia.
In Europa sono stimati tra gli 850 ed i 900 milioni di tonnellate i rifiuti da costruzione e demolizione prodotti, pari al 35% della produzione totale di rifiuti europei. Nonostante la storia del riciclo dei materiali inerti sia lunga oramai quasi trent’anni, e nonostante gli appalti e le gare pubbliche debbano favorire l’uso di materiali riciclati, il livello qualitativo dei prodotti inerti riciclati spesso non rispetta gli standard richiesti dal mercato, o addirittura viene introdotto a mercato senza marcature CE.
Un’altra nota dolente è che nel raggiungimento degli obiettivi imposti dalla Comunità Europea (70% dei materiali impiegati dovrebbero essere di provenienza “riciclato” entro il 2020), in effetti il contributo proveniente dal riutilizzo di rifiuti inerti, data la loro enorme quantità, potrebbe essere determinante.
Rispetto al resto dei Paesi Europei l’Italia è uno dei maggiori produttori di rifiuti inerti con 53 milioni di tonnellate l’anno di cui solo il 9% (circa 5 Mton) vengono riciclate ed il 91% finiscono in discarica. A livello regionale, solo nel Lazio vengono estratte 1,7Mton di materiali naturali inerti per le varie esigenze di mercato dalle quali, economicamente, la collettività ne trae vantaggio solo per l’1,5% del valore collegato alle vendite.
Quanto conviene stimolare la filiera dell’economia circolare del riciclo e perché non riesce effettivamente a prendere piede nel dualismo di mercato “domanda-offerta”?
Non si tratta solo di una questione di prezzo (se non per la parte “conferimento agli impianti di trattamento”, la quale viene percepita spesso dagli operatori come un mero costo aggiuntivo per la gestione di materiali di scarto), ma di una mancanza di totale circolarità dei benefici derivanti, nonché di approccio culturale da parte delle aziende più che delle norme. Di tutto il mercato estrattivo degli inerti naturali, lo Stato ne beneficia per il solo 1,5% (e quindi in effetti non rappresenta un’entrata significativa, oltre a depauperare risorse preziose del territorio), è quindi evidente che ciò che manca oggi è la possibilità o l’occasione di estendere a tutti gli ambiti sociali ed economici, direttamente o indirettamente collegati al riciclo di C&DW, i benefici di una messa a regime del meccanismo.
Da un elevato ritardo e criticità, caratterizzante l’Italia, derivano ampi spazi di miglioramento e crescita.