I rifiuti inerti (per definizione quei rifiuti solidi che per loro natura non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica, ovvero non si dissolvono, non bruciano, degradano naturalmente e non sono soggetti a reazioni fisiche o chimiche) rappresentano un consistente volume di tutti i rifiuti che vengono prodotto sul suolo Italiano ed Europeo.
In Italia si tratta di una quantità stimabile in 49 milioni di tonnellate annue, circa 60-70 milioni di metri cubi, ovvero circa 60-70 trafori del Monte Bianco ogni anno. In Europa tale cifra sale a 850 milioni di tonnellate.
(fonte: Eurostat 2012/13, Rapporto Cave Lega Ambiente 2017)
Parte di questa enorme quantità di materiali prodotti da tutte le attività di costruzione e demolizione (C&D), dai piccoli cantieri necessari per riparare le infrastrutture di servizio delle città, alle grandi infrastrutture, può e deve essere riciclata, ma una parte deve essere necessariamente gestita verso il conferimento in apposite discariche. Di inerti, per l’appunto.
(fonte: Eurostat 2012/13, Rapporto Cave Lega Ambiente 2017, elaborazioni gruppoSEIPA)
I rifiuti inerti da C&D (incluse le terre e rocce da scavo) sono stati oggetto di diversi aggiornamenti normativi che hanno reso la loro gestione un’attività estremamente delicata e tecnologica: lo scopo è stato chiaramente quello di evolvere la filiera versa una sempre maggiore integrazione con principi di rispetto dello stato ambientale dei luoghi e, soprattutto, di trasparenza e garanzia nei confronti della dimensione civile. Che quei luoghi, spesso, li abita.
Una delle attività più importanti, oggi prescritte dalla legge, è legata alla preparazione dell’invaso. Non deve sorprendere il lettore il fatto che non sia possibile, o sufficiente, scavare o avere a disposizione un’enorme buca (magari anche derivante da precedenti attività estrattive) per conferire rifiuti che non cambiano il loro stato fisico (inerti).
La preparazione dell’invaso, che rappresenta un presidio ambientale fondamentale nella preparazione di una discarica normato dal D.Lgs. 36/2003, deve essere fatta rispettando un preciso principio di impermeabilizzazione. In parole semplici, l’impermeabilizzazione serve ad evitare che il percolato (acque meteoriche che attraversando l’ammasso di rifiuti abbancati potrebbero caricarsi di elementi rilasciati dagli inerti) si infiltri nelle acque sotterranee. L’invaso impermeabilizzato permette di raccogliere tali acque evitando che le stesse si disperdono nel terreno e di conseguenza possano causare la contaminazione delle acque sotterranee.
L’impermeabilizzazione è realizzata a norma del suddetto D.Lgs. 36/2003 attraverso un pacchetto formato da strati a bassa permeabilità (ad es. argiile) e speciali teli.
Nel nostro agire quotidiano, per garantire anche a noi stessi una serenità di coscienza duratura nel tempo, investiamo maggiori risorse e tempo nella preparazione dell’invaso, utilizzando una combinazione di dispositivi tecnologici che garantiscano l’impermeabilizzazione necessaria e la resistenza strutturale.
Per l’invaso rappresentato nelle immagini, sono stati realizzati ed applicati in successione:
-
- Manto geobentonitico.
-
- Membrana impermeabile HDPE interamente saldato da 2mm.
- TNT a protezione della membrana.
Quando nel proprio territorio si ha dunque l’occasione di vedere, “alla luce del sole”, operazioni di preparazione di invasi che sembrano apparire evolute e/o complesse, si deve sapere che si tratta di quanto necessario per garantire una corretta gestione dei materiali che verranno conferiti.
Ciò non toglie che sia diritto del cittadino informarsi, fare domande, e ricevere risposte che gli permettano di acquisire conoscenze utili a leggere quanto accade sul proprio territorio.